mercoledì 30 maggio 2018

Amarcord 3 - Incontri, ricordi, euforie e melanconie

Amarcord 3

Incontri, ricordi, euforie e melanconie

a cura di Giancarlo Politi


Achille Maramotti e Mario Diacono a Documenta 1987 Courtesy Mario Diacono.
Un Principe e il suo consigliere. Achille Maramotti e Mario Diacono 
Ho conosciuto e frequentato Achille Maramotti negli anni Settanta e Ottanta; un grande imprenditore, collezionista di banche e d’arte, nonché mecenate. Lo si poteva incrociare nelle fiere d’arte e nelle grandi mostre, sempre accompagnato da Mario Diacono*, suo amico e consigliere. Da Art Basel alla Biennale di Venezia, da Documenta a Skulptur Projekte.
Mario Diacono me lo presentò appunto a Documenta nel 1977. In quella edizione e nella successiva (1982), io e Helena, abbiamo visitato alcune sale insieme a loro due. Mi sorprese la curiosità di Achille per opere non facilmente accessibili e che Mario Diacono, con straordinaria lucidità e competenza (con il suo linguaggio immaginifico) illustrava, talvolta pur non conoscendo l’artista. Mario entrava nei dettagli dell’opera con una leggerezza tutta letteraria (lui era stato il segretario di Giuseppe Ungaretti, il poeta a cui debbo in parte il mio amore per la poesia) trascinando nel vortice dell’infiammata spiegazione i suoi interlocutori. 
All’epoca Achille Maramotti, sanguigno emiliano ma uomo colto e sensibile, era il quarto uomo più ricco d’Italia. Immagino dunque quali pressioni abbia subito da artisti e galleristi. Ma lui fu sempre fedele all’amicizia e credo ai consigli dell’inseparabile Mario Diacono, che lo ricambiò con suggerimenti di alto livello di cui andrà orgoglioso. Non so di chi fu l’idea di aprire una galleria a Bologna, se di Mario, come supporrei o dell’amico mecenate Achille.
La Galleria Mario Diacono si aprì a Bologna, in via Santo Stefano, nel 1978, con una mostra di Jannis Kounellis a cui seguì subito la mostra di Mario Merz. La programmazione continuò con una straordinaria installazione di Vito Acconci, inedita per l’Italia. Seguirono Pistoletto, Paolini, Boetti, Claudio Parmiggiani, Pier Paolo Calzolari e – mi pare – Luigi Ontani. Molte delle opere esposte da Diacono, a testimoniare il legame con il suo amico Achille, ora fanno parte della Collezione Maramotti. Anche quando Diacono trasferì la galleria a Roma, non mancò il sostegno solidale di Achille. Ma sia a Bologna che a Roma, la galleria Mario Diacono divenne un punto di riferimento: e le sue scelte illuminate ancora reggono al tempo.
Un artista molto vicino ad Achille Maramotti, da cui probabilmente fu anche sostenuto, è stato Claudio Parmiggiani, allora pittore sperimentatore, poeta visivo, visionario illuminato che con Mario Diacono fondò la rivista Tau/ma, un contenitore di idee, una sorta di deflagratore culturale tra arte, poesia, letteratura, filosofia. E linguaggi antichi. Inutile dire che l’editore era Achille Maramotti, il quale, tra un consiglio di amministrazione e l’altro, amava intrattenersi con artisti, letterati, poeti, tra cui anche Eugenio Montale. 
Nell’imprenditoria contemporanea manca un uomo come Achille Maramotti, che sapeva coniugare il grande senso degli affari, i suoi scontri con i sindacati e forse Confindustria e il grande amore per la cultura e gli artisti. Amore soprattutto per Mario Diacono, amico, fratello, consigliere del Principe, con cui non ebbe un rapporto subalterno ma di grande dialettica. Al punto da chiedermi chi ha dato di più all’altro. 
Testimonianza odierna di Mario Diacono: 27/05/2018
Ho conosciuto Achille Maramotti nell’estate del 1975, mi portò nella sua casa di Albinea Claudio Parmiggiani.
La primavera dell’anno successivo, nel 1976, Achille venne a New York per lavoro, e facemmo insieme il giro dei musei della città (MoMA, Guggenheim, Whitney, Metropolitan, Frick Collection) e delle gallerie di Soho: Castelli, Sonnabend, John Weber, ecc. A quell’epoca insegnavo al Sarah Lawrence College, ma pochi mesi dopo tornai in Italia. nel ’77, sempre tramite Parmiggiani, aprii una galleria a Bologna con Ferruccio Fata, la cui partnership durò una sola mostra.
Il rapporto con Maramotti nel frattempo diventava sempre più progettuale, Achille cominciò a immaginare di far diventare col tempo la sua collezione un paradigma di museo d’arte contemporanea, come allora erano inesistenti in Italia. L’apertura della mia galleria a Bologna, nel gennaio del 1978, con una mostra di Kounellis, doveva essere uno dei veicoli per portare avanti l’idea.

Mario Diacono
Artisti. La morte dopo la morte.
Ogni tanto rifletto. Quanti e quali artisti sono realmente arrivati a noi dagli anni Cinquanta? Due: Alberto Burri e Lucio Fontana. E dagli anni Sessanta? Due: Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Gli anni Settanta sono in corso di sfoltimento, così come gli anni Ottanta e Novanta. E pare si tratti di una sfoltita molto, molto radicale.


Io ho vissuto abbastanza gli anni Cinquanta e molto gli anni Sessanta. In cui a Milano spopolavano Emilio Scanavino, Gianni Dova ed Emilio Tadini. In città non si muoveva foglia che Tadini non volesse. E ora dove sono? Dove sono anche i Capogrossi, i Campigli, ma anche a Morlotti, i Cassinari. Una strana “melancolia” si è impossessata di me nei giorni scorsi, sfogliando alcuni cataloghi di aste: Cassinari offerto a 260 euro, Morlotti poco più o poco meno. Mario Rossello, un delicato pittore con ottimi collezionisti e gallerie, negli anni Sessanta e Settanta, ora lo vedo in asta offerto a 50 euro. Avete capito bene? 50 Euro. Meno di un pranzo al Rigolo dove Rossello era di casa e talvolta mi invitava. E giù una falcidia di nomi un tempo inavvicinabili. Il nostro Novecento, la migliore stagione dell’arte italiana, è stato rottamato. Grandi artisti come Sironi, Carrà, De Pisis, de Chirico, Campigli, Rosai, messi in soffitta.


Un aneddoto personale ma indicativo: nel 1964, sapendo che ero riuscito ad affittare una casa a Roma, sulla via Prenestina, in Via Fontana Liri 27, (poi sede di Flash Art), in cambio di opere d’arte, Lucio Fontana mi regalò un bellissimo teatrino. Lo stesso fecero Dorazio e Schifano (un grazie a tutti post mortem). Quando portai piangendo il mio bellissimo Fontana alla signora Armellini, consorte di un discusso palazzinaro romano, mi rifiutò il Fontana chiedendomi in cambio un Cassinari, anche piccolo. Io fui preso dal panico perché senza un Cassinari sarei sato sbattuto fuori di casa. Non so chi, mi disse che un collezionista di Prato, Giuliano Gori, possedeva dei Cassinari; mi precipitai da lui implorando di cambiarmi il bellissmo Fontana con un pessimo Cassinari che portai alla signora Armellini che mi dedusse dall’affitto un milione di lire, permettendomi di abitare ancora nell’appartamento per un anno e forse più. Ogni volta che incontro Giuliano Gori, mi sorride beffardamente, alla toscana, per ricordarmi il suo grande affare. Eppure nessuno si rende conto che in quel momento l’affare lo feci io, perché Cassinari per me valeva un milione di lire (per i più giovani 500 euro di oggi), cioè più di un anno di affitto, e Fontana no. Quando lo riferii a Lucio, allora spesso a Trevi da Gavina, accanto alla mia casa natale, per realizzare le sue opere, talvolta veniva a cena da me con Gino Marotta (ma le cene a casa mia, in Umbria, dove Lucio veniva volentieri, perché amava la cucina umbra di mia madre e, diceva lui, le salsicce di mio padre, saranno oggetto di un altro Amarcord) sorrise amichevolmente e mi disse: cosa vuoi, questa è la vita. Sii felice che una mia opera indirettamente ti ha permesso di vivere in un appartamento per un anno e mezzo. Grande cosa. Per me è un miracolo pensare che in mezz’ora di lavoro mio, tu hai goduto di una casa per oltre un anno. 


E oggi sfogliando i cataloghi delle aste leggo: Fontana dai 600 mila euro a un milione e Cassinari 260 euro, poi invenduto.


Allora mi chiedo: ma dove finiranno le centinaia di migliaia di opere, forse milioni, che gli artisti amorevolmente e con grande partecipazione hanno realizzato o stanno realizzando? E che spesso le gallerie e i collezionisti si contendono? Riguardando i vecchi numeri di Flash Art, le cui scelte erano già molto mirate e selettive, scorgo un cimitero, non un museo.
Povere mogli, amanti, figli e nipoti di artisti!
E penso con tenerezza alle mogli o amanti degli artisti, ai loro figli e nipoti che amorevolmente schedano le opere e ne rivendicano il diritto di autenticarle pensando al tesoro che le loro mani gestiscono. Mille, duemila opere, talvolta tremila e più che ogni artista ha depositato in questa discarica che è il mondo. 
Un pittore della mia terra di origine, l’Umbria, che nella mia primissima giovinezza ritenevo un genio, ma non ero il solo, ha vissuto (e vive) da asceta una vita per la sua pittura. Mi diceva che non sfogliava riviste d’arte, non frequentava colleghi né mostre per non restare influenzato. San Francesco o Jacopone da Todi della pittura? Ora la sua enorme casa, arancione come le sue opere, trabocca di quadri. Cantina, soggiorno, cucina, stanze da letto, stanze da bagno, ripostigli, ricoperti di tele arancioni. E lui sereno e sicuro che la storia lo salverà. Sicuro come la morte che la sua opera resterà eterna. Vi giuro che è un bravissimo pittore, anche lui una grande speranza degli anni Sessanta, con mostre al Naviglio e alla San Fedele (con la benedizione di Guido Ballo e di Marco Valsecchi). Eppure, anche se serenamente, è restato al palo. Ma chissà quanti come lui, quasi tutti di fronte alla storia.
Ma lo penso con gioia, carpe diem. La mia casa è piena di opere e quando posso continuo a comperarne, anche se ogni tanto la sindrome di Stendhal mi assale. Ma mi riprendo subito e continuo ad ammirare e desiderare opere che non potrò mai avere e opere che invece potrò permettermi. E intanto mi godo quelle che mi circondano qui in casa e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Perché Burri e Fontana?
Ma perché Burri e Fontana, a parte la qualità, sono restati e gli altri no? Anche se oggi si cerca di riscoprire Nuvolo, un modesto allievo di Burri (entrambi di Città di Castello)  e di raschiare il fondo del barile degli anni Sessanta, la musica non cambia. Come sempre, come per tutte le epoche, la rottamazione sarà feroce e le discariche piene di opere. Ma senza allarmarci, anzi con gioia, bisogna dire che l’arte segue le vicende della vita e della storia. La quale è drammaticamente selettiva spesso senza una vera logica, ma per il capriccio del tempo e dei gusti e del caso. Cosa può tenere in vita l’opera di un artista, al di là del suo valore, oltre la sua vita? Questo è il vero mistero. Non mi si dica che è la qualità dell’opera, La qualità, da sola non basta. Io posseggo una bellissima scultura di uno dei fondatori del surrealismo: André Masson che ho frequentato negli anni Settanta. Cioè di un protagonista della storia dell’arte. Il valore di mercato di questa scultura non supera quello di Cassinari.
Ma allora cosa tiene in vita l’opera? Sinceramente non lo so. Penso che in parte sia l’energia stessa dell'artista, il suo desiderio di immortalità, il suo ego sfrenato e sfrontato. Poi, una volta che l’artista non c’è più, l’energia viene a mancare. E con essa anche l’opera lentamente si sgonfia. Per un po’ resta il ricordo, poi anche questo svanisce.
Dai Lettori
Maestro Sarenco


Caro Giancarlo Politi, volevo segnalare che il maestro Sarenco, scomparso lo scorso anno, aveva progettato un ultimo evento sulla Poesia Visiva, dal titolo “Una generazione per il XXI° secolo”, invitando 5 artisti italiani: Michele Ciardiello. Marco Gerbi, Alessio Guano, Elena Marini e Roberto Scala. Catalogo pubblicato a Verona nel gennaio 2017 ad opera della Fondazione Sarenco.
Il testo scritto da Sarenco intitolato “La poesia dei vivi”, dove dichiara che dopo più di sessant'anni, tutti pensavano che la Poesia Visiva fosse storicamente finita, avesse chiuso il suo ciclo, ed ecco la soppressa italiana, nuovi poeti con una qualità vera, autonoma, fresca e felicemente aggressiva. 
Purtroppo la mostra non si è più svolta, ma rimane un documento stampato con le opere degli artisti invitati. 

Un caro saluto, robertoscala@inwind.it Milano.


Meglio, molto meglio che Sarenco non abbia avuto il tempo di fare altri danni. Ne ha già fatto troppi alcuni irreparabili, in vita.



Luciano Inga-Pin artista
Ho sempre avuto la sensazione che nella Galleria di Inga Pin, il migliore artista tra tutti quelli presentati fosse proprio Lui, Inga Pin: una persona straordinaria che si era messa al servizio di altri aiutandoli a realizzare i propri sogni. Angelov


Tanti galleristi sono stati più artisti dei propri artisti. Ma non bisogna dirlo, perché questi ultimi si offenderebbero.

Caro Giancarlo,
dovresti scrivere la storia dei galleristi italiani, ti darei volentieri una mano. Vorrei raccogliere le testimonianze di gente come Franz Paludetto, Lia Rumma Giorgio Marconi o Sargentini per salvare qualcosa, prima che tutto si disperda. Inga Pin è stato fondamentale per la "scoperta" di tanti artisti anche se spesso avuto rapporti a dir poco burrascosi. Urs Luthi si irrita ancora oggi ad ascoltare il suo nome. Però sono stati galleristi autentici, coraggiosi e intelligenti che hanno scoperto gli artisti che avevano qualcosa da dire. La dimenticanza in genere è figlia del mercato, però nemmeno i musei oggi fanno mostre per scopi autenticamente culturali. Nessuno si oppone al mainstream, tutti confermano quella che va o già funziona da solo. La Poesia visiva è un caso classico. Tu citi De Bellis e fai bene. Ma è stato un episodio per cui un giovane critico ha compreso (finalmente) l'importanza di un movimento. Mio padre negli anni settanta organizzava con Michele Perfetti (a Taranto?!) i famosi corsi di aggiornamento nella scuola media di cui era preside, invitando poeti visivi e semiologi.  Il Gruppo 70 a Firenze non ha avuto nemmeno un accenno di ricordo per il cinquantesimo della nascita, eppure c'erano oltre a Miccini, Pignotti, Marcucci etc.  anche personaggi come Bussotti, i Bueno, e intellettuali come Umberto Eco. C'era dietro un'idea di cultura e di pratica politica e sociale. La storia dell'arte in Italia passa soprattutto attraverso queste "marginalità", personaggi straordinari, artisti e intellettuali, forse anche troppo certe volte, interpreti del loro tempo. Dato che molti di questi artisti hanno superato gli ottant' anni, qualcuno si sta muovendo a fargli delle mostre a livello istituzionale. Forse toccherà anche a Franco Vaccari che conoscono all'estero meglio che in Italia.  
Il mercato è un imbuto ormai determinante, ma anche la mancanza di coraggio e di idee. Penso che la storia dell'arte contemporanea in Italia non sia ancora stata scritta.
Stai bene
Valerio Dehò


Valerio, non ho la stoffa dello storico. Io sono un buon centometrista, sulle venti righe talvolta posso competere con Mennea, ma sul chilometro o più, mi sfiato, divento un Durando Pietro, l’atleta che crollò prima del traguardo della maratona. E poi a me piace guardare la storia di traverso, nei suoi anfratti e nelle sue anomalie. In realtà sono un po’ voyeur e guardo dove gli altri non osano guardare. Da giovanissimo volevo scrivere romanzi. Poi incrociai Ungaretti con “M’illumino d’ immenso” e cambiai idea. Capii quale fosse la mia strada.



Emilio Villa sì. Emilio Villa no.
Giancarlo, l’inedito ricordo di Emilio Villa – persona di valore che in vita non ebbe i riconoscimenti che meritava – mi ha riportato alla mente un episodio che lo riguarda.
Quando fui chiamato a innovare l’edizione del 1967 della Biennale d’Arte Contemporanea di San Benedetto del Tronto (condizionata da alcuni pittori del luogo), ancora basata sull’accettazione da parte di una giuria, ideai un format espositivo che prevedeva il coinvolgimento di altri tre curatori. Ognuno di noi avrebbe dovuto proporre cinque nomi di artisti propositivi, così avviai il progetto rivolgendomi a Emilio Villa – intellettuale sensibile e disponibile – che da promotore di giovani talenti, mi fece subito il nome di Jannis Kounellis e mi portò a visitare una sua mostra, incentrata sulle opere con le lettere dell’alfabeto, presso la galleria Arco d’Alibert. Durante i nostri amichevoli incontri non risparmiava espressioni polemiche nei confronti dei detrattori che ostacolavano il suo eclettico percorso. Ma, pure se con lui c’era piena sintonia, l’operazione non si concretizzò, in quanto gli altre due critici volevano imporre operatori visuali che avrebbero riprodotto la situazione localistica da me combattuta. Quindi decisi di presentare da solo Tendenze d’Oggi, includendo anche esperienze internazionali. Ovviamente mi rimase il dispiacere di aver deluso Emilio, desideroso di partecipare a una rassegna di buon livello, che forse avrebbe potuto aiutarlo ad affermare la propria identità  nel contesto romano di quel momento. Un caro saluto e spero di rileggerti presto.
Luciano Marucci

Caro Luciano, lo so bene, Emilio Villa, in quel periodo era più detestato che amato. Soprattutto dall’establishment. E morì solo, povero e dimenticato a Rieti. Eppure Emilio era dolce e disponibile con tutti.
Per suggerire spunti di riflessione e alimentare il dibattito intorno ai contenuti della rubrica scrivete a:giancarlo@flashartonline.com

lunedì 21 maggio 2018

Amarcord 2 - Incontri, ricordi, euforie e melanconie

Amarcord 2
Incontri, ricordi, euforie e melanconie

a cura di Giancarlo Politi

Mario Diacono con Emilio Villa, 1961.


Emilio Villa
Sono stato amico di Emilio Villa, grande scrittore, critico d’arte, artista e immenso uomo di cultura. Lo conobbi a Roma alla fine degli anni Cinquanta e fraternizzammo subito, complice anche la mia frequentazione con Edgardo Mannucci – altro desaparecido, il più grande scultore informale italiano. Molto spesso io e Emilio accompagnavamo Mannucci ad Arcevia, nelle Marche, dove lui aveva la casa. Da Roma ad Arcevia la distanza sarà di 250 km. Ebbene, in quel percorso non c’era trattoria o bettola che loro non conoscessero. con tutte le specialità e i piatti da evitare. Sia Mannucci che Villa erano due buongustai straordinari, si vantavano entrambi di far parte dell’Accademia della cucina. Ogni nostro viaggio ad Arcevia, andata o ritorno, durava una giornata e si svolgeva come una sorta di processione culinaria.
Emilio Villa a Roma non aveva vita facile. Pare ostacolato da Argan che non riconosceva in Emilio valori accademici, non fu mai ammesso all’insegnamento. Capisco pure che la sregolatezza (anche letteraria e culturale) di Villa non fosse in sintonia con la morigeratezza anche intellettuale del valdese Argan, sempre tutto d’un pezzo. Emilio, grande amico e frequentatore di artisti, mi diceva sempre che aspettava un sostanzioso pagamento da Einaudi per la sua traduzione (pare rivoluzionaria) della Bibbia, di cui invece Einaudi rinviava sempre la pubblicazione, secondo Emilio, per veti occulti. Non so se poi questa famosa Bibbia sia mai uscita. 
Emilio era grande amico di Schifano e Uncini, ma soprattutto di Lo Savio che considerava un figlio. Tra i due esisteva un’amicizia profonda, al punto, e questo me lo confermò lo stesso Lo Savio, che spesso progettavano insieme le opere. Ed Emilio, davanti a Lo Savio, mi diceva che lo aveva incoraggiato al minimalismo e al concretiamo che contraddistingue l’opera del grande artista romano, fratellastro di Tano Festa, purtroppo scomparso prematuramente a 28 anni
In ogni caso, di Emilio ho un ricordo curioso e di cui lui andava fiero. Un giorno nella sua casa vidi due sculture di Lo Savio, ancora in lavorazione. Gli chiesi allora come mai fossero lì, e lui orgogliosamente mi disse che le stava realizzando sulla base di progetti che avevano ideato insieme. 
Qualche anno dopo, a Düsseldorf, Hans Mayer, noto gallerista tutt’ora operativo, mi confessò che aveva acquistato due importanti sculture di Lo Savio da Emilio Villa e le aveva vendute per un prezzo record ad un notissimo museo tedesco, dove fino a poco tempo fa erano esposte. 
Con la mia partenza da Roma, con destinazione Milano, nel 1971, i miei rapporti con Emilio Villa, salvo qualche telefonata, si estinsero. Così finì una grande amicizia e per me uno stimolo intellettuale pungente e dissacratorio.
Dai lettori
Massimo Minini

Giancarlo,

non so se è prevista una risposta possibile ma…anche io ricordo tante cose, come sai. Anche se non ne parlo con nostalgia. Mi paiono ancora presenti. Oltretutto ricordo meglio il lontano passato del recente presente. Vincitorio era un gentiluomo vecchia maniera. Voleva fare del bene in un mondo sbagliato. Infatti lo stagno era già popolato di squali e lui non se n’era accorto. Se lo sono mangiato.
Inga Pin ha fatto mostre straordinarie per preveggenza. Ha esposto quasi tutti i giovani di allora prima di tanti altri. Quelli che tu citi ma anche Clemente, Garutti. Il problema è che non li ha mai pagati.
E Marina Abramović aveva ragioni da vendere. Verso la fine della sua vita, per una decina anni, Inga ha fatto falsi a gogo. Sono venuti da me persino i carabinieri a farmi vedere opere vendute a Brescia, ma erano fatte talmente male che mi scappava da ridere. Da ridere invece non scappava a quei tantissimi che Inga aveva fregato. Quando vuoi un medico di Brescia ti dirà come ha dato centomila euro a Inga e li ha persi alla roulette russa. 

La Poesia visiva infine è un altro tasto dolente. Sarebbe stata un movimento serio se non fosse intervenuto Sarenco. A me piaceva, a Brescia ne abbiamo vista molta. Era vicina a fluxus, molto spesso erano delle barzellette illustrate o calembours. La poesia visiva ha insegnato all’Espresso a fare i titoli.

Poi è nata l’arte concettuale, più seria, e ha sbaragliato il campo. Soprattutto gli artisti concettuali non erano falsari o mezzi mercanti come altri della poesia visiva, compromessa dalla presenza di personaggi sbagliati. E poi troppe cartine e collagini diciamocelo, un po’ da asilo infantile.
Yours, Massimo Minini

Marina Abramović e Ulay
Caro Massimo, i miei ricordi non sono nostalgici, a volte un po’ amari per l’egoismo degli uomini e della storia. Nessun artista che esponeva da Luciano Inga Pin si aspettava di essere retribuito. Ma Luciano amava gli artisti e viveva in modo spartano. Marina Abramović l’ho portata io a Milano dopo aver visto una sua straordinaria performance a Belgrado. Ogni volta che la incrocio mi ricorda questo episodio e si commuove. Le presentai Luciano che entusiasticamente le fece una mostra. Ricordo che Marina era raggiante, credeva di aver toccato il cielo con un dito.
Dopo passò a esporre con Peppe Morra a Napoli. Le sue bellissime foto in bianco e nero, sgranate e talvolta leggermente sfuocate erano molto suggestive e poetiche.
Clemente che tu hai esposto in quegli anni e Luigi Ontani non erano lo stesso? E Mimmo Paladino? E Nicola De Maria? Che facciamo, adesso sconfessiamo anche quei lavori di brutte foto, sgranati e amatoriali?  
Caro Massimo, io se fossi un collezionista attento, considererei le foto in bianco e nero i suoi capolavori. Ma poi siete intervenuti voi a chiedere le immagini "ineccepibili" e a colori, a coprire di soldi l’artista e a convincerla a sconfessare le sue prime opere perché non tecnologicamente perfette e forse non resistenti all'eternità. E ora, tu ricco e lei miliardaria, vi coalizzate contro il povero Lucian Inga Pin che ha dato a Marina molto più di quanto abbiate dato tu e tutti i tuoi colleghi.
Facile per tutti ora inveire su un uomo come Luciano, morto in miseria e in solitudine e con un funerale a spese del Comune. Il tuo amico avvocato che ha dato centomila euro a Inga Pin (ma io non ci credo, Luciano non ha mai visto tali cifre) avrebbe solo pagato il suo accesso nel mondo dell’arte. Giusto che sia così. E io dico che le opere di Marina vendute da Luciano sono in assoluto tra le più belle della sua produzione. Se ne trovi qualcuna al prezzo a cui le ha cedute Luciano, fammi un segno che le acquisto io.
Sarenco? È stato lui l’unico protagonista che fece tanto rumore con la Poesia visiva. Gli altri poeti visivi sono stati buoni e tranquilli a produrre i loro collage, frottage, poemi visivi e sonori. Senza tumulti né rumore. Se si esclude qualche simpatica goliardata da parte di Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti e Giuseppe Chiari, a Firenze.
Francesco Vincitorio? Non è stato divorato dagli squali. Lui ha condotto una vita tranquilla e di successo sino alla sua morte. Rispettato e amato da tutti. Cosa desiderare di più?
Caro Massimo, mi sembra che il tuo successo e il grande benessere ti abbiano un po’ offuscato la vista. Forse anche tu dovrai operarti di cataratta come sto facendo io. Sperando di vedere tutto meno offuscato.
Un abbraccio. Giancarlo


Francesco Vezzoli

Che belli questi Amarcord.

Bacio, fv

Grazie Francesco. I tuoi apprezzamenti sono per me sempre emozionanti.

Alessandra Mammì
Ciao Giancarlo qui Alessandra Mammì, Vincitorio era un caro amico, Inga Pin un nome mitico, il tuoAmarcord è cosa buona e giusta, ma non ho capito. È cartaceo oppure online? Dove lo trovo? È necessario e urgente.
Un abbraccio, Ale

Alessandra, per il momento il mio Amarcord è sottoforma Newsletter. Con la speranza che presto diventi un libro, si dovrebbe chiamare Rimembranze.

Laura Cherubini
Io mi ricordo di Francesco Vincitorio!!! E anche degli altri…  bello, cos’è, una tua nuova rubrica?
Baci, Laura

Laura, sì, una rubrica di ricordi che spero un giorno diventi libro. 

Alberto Mugnaini
Ciao Giancarlo,
che piacere, e che emozione leggere le tue parole! Ti sono vicino in queste divagazioni sull’onda dei ricordi, in questi momenti in cui ci sentiamo più soli per le tante scomparse, grazie per queste testimonianze che tengono viva la storia.
E un grande abbraccio, Alberto

Sonia Campagnola
Caro Giancarlo,
Bellissima rubrica, è molto interessante leggere i tuoi ricordi. Non conoscevo Vincitorio e adesso vado a leggermi la poesia visiva su Wikipedia! Spero che tu stia bene.
Un caro saluto a te, Helena e Gea. Sonia

Ciao Sonia, noi custodiamo sempre un bellissimo ricordo di te e del tempo in cui hai lavorato per Flash Art. Un saluto da tutti noi.

Barbara Casavecchia
Grazie Giancarlo, È sempre bello leggerti. Un abbraccio. Barbara

Altro ricordo indelebile il tuo Barbara. Redattrice seria, preparata, implacabile con le stagiste distratte. Brava. 

Chiara Guidi, Michele Chiossi
Ciao caro Giancarlo, che bella questa tua rubrica “Amarcord”. L’ho letta con vero piacere. 
Desidero aggiungere solo una piccola nota al tuo prezioso e personale ricordo di Luciano Inga Pin, perché quella fredda mattina di febbraio, sul sagrato della Chiesa, la tua presenza e, le tue parole ci avevano confortato. Infatti il tuo arrivo con François, ci aveva fatto sentire improvvisamente, meno soli. 
Io ero con Michele Chiossi e Marco Cingolani, mentre Fausto Bertasa a causa del traffico mattutino in tangenziale, era arrivato trafelato un po’ in ritardo, ma la tua presenza aveva scaldato il  triste animo di noi tutti, mentre salutavamo per l’ultima volta Luciano. Come sempre, tu ci hai dato forza, ancora ti ringrazio.
Un grande abbraccio, Chiara

Grazie Chiara per le precisazioni preziose. Invidio la tua memoria, mentre la mia, ahinoi, funziona a sprazzi. Ogni tanto m’illumino di immenso. Ma spesso l’illuminazione cede il passo all’oscurità.

Luciano Marucci
Caro Giancarlo,
finalmente hai deciso di raccontare le tue frequentazioni, tanto più che hai dimostrato di avere un’ottima memoria. La tua rubrica rappresenterà un po’ di storia vissuta del contemporaneo, utile anche agli studiosi delle ultime generazioni. I presupposti sono giusti. Complimenti!
Ti leggerò sempre volentieri, anche perché ci ritroverò sicuramente delle conoscenze. Ne trarrà giovamento anche Gea… Spero di vedervi a Basilea. 
Ciao. Luciano

Caro Luciano, ancora non ho capito quanto questi ricordi un po’ fuori dalle righe interessino i giovani. Durante il percorso forse capirò.

Fausta Squatriti
Caro Giancarlo, ho letto con partecipazione i tuoi tre ritratti di persone un tempo ritenute importanti, e poi dimenticate. Ce ne sono altre, tra cui, importantissimo per Milano negli anni Settanta, Alexander Iolas, forse l’ultimo gallerista fastoso e geniale, autorevole e generoso, che sapeva sia promuovere i suoi amatissimi surrealisti, sia capire artisti emergenti come Pino Pascali, del cui talento era stato precoce ammiratore. La Galleria del Credito Valtellinese gli ha dedicato una mostra, e un bel libro arricchito da un carnet di appunti, ma l’ha fatta ad Acireale. Io in quegli anni disegnavo e stampavo quasi tutti i libri, i cataloghi e i manifesti che Iolas pubblicava per ogni mostra che faceva, nelle sempre più numerose gallerie che andava aprendo, dopo le tre capostipite, Parigi, Ginevra, New York. Sarebbe giusto ricordarlo meglio. 

Un affettuoso saluto, Fausta


Fausta, conobbi fugacemente Alexander Iolas. Nella sua galleria di Parigi. Queste mie scorribande non vogliono essere esaustive, ma dedicate ad amici o persone che ho frequentato con una certa assiduità.

Loretta Zaganelli
Gentile Giancarlo,
grazie per questo bell’articolo scritto col cuore. Mi ha fatto iniziare bene la settimana. Mi chiedevo se fosse stato pubblicato qualcosa di simile su Francesca Alinovi. So che è stato fatto un film-documentario sul suo lavoro di curatrice, ma non conosco altri testi sulla Alinovi, a parte la raccolta di scritti L’arte mia, che mi hanno fatto amare l’arte contemporanea. Se è già stato pubblicato qualcosa su Flash Art (che avrò perso per inseguire il lavoro e la vita), mi piacerebbe saperlo. Grazie ancora e buona giornata di sole, 
Loretta Zaganelli

Cara Loretta, uno dei prossimi ricordi sarà proprio su Francesca Alinovi. Flash Art negli anni Ottanta ha pubblicato numerose e fondamentali corrispondenze di Francesca.

Francesco Aprile
Gent.le Giancarlo Politi,
Mi chiamo Francesco Aprile, sono giornalista e mi occupo di poesia visiva, scritture asemantiche e altre forme di ibridazione della parola. Scrivo in risposta ai temi della sua rubrica sollevati nella mail, in modo particolare a "dove sia o possa essere oggi" la poesia visiva.
In effetti si è creduto, o meglio, in molti hanno creduto in una morte della verbovisualità già maturata da tempo, dal canto mio nel 2014 ho fondato con Cristiano Caggiula la rivista trimestrale online www.utsanga.itdove ci occupiamo delle ricerche letterarie, poetiche che puntano all'ibridazione di parola e nuovi media. Può essere finita la poesia visiva? Seguo l’indicazione di Eugenio Miccini e credo che poesia visiva sia un discorso politico sui media, in continuo movimento; fino a quando ci saranno uomini allora ci saranno anche media e il discorso sulle forme della parola potrà continuare a rinnovarsi, solo a patto di smettere e mettere da parte le forme trite e ritrite delle origini. Poesia visiva oggi dovrebbe essere un discorso altro rispetto alla struttura del collage degli anni Sessanta, un confronto aperto con la marea sconfinata della contemporaneità, un dialogo con la presunta impossibilità di stile che produce inciampi, cadute.

Mi piacerebbe vedere questa nuova Poesia Visiva all’altezza dei tempi. Io penso ai suoi inizi e alla sua storia: che ahimè, piange.

Lorena Giuranna / MAGA
Buongiorno Politi, 
Sono una storica e critica d'arte, lavoro al museo Maga di Gallarate e dirigo un centro per la poesia sperimentale e visiva a Ivrea dal 2008 (www.museodellacarale.it)
Ho letto nella sua newsletter dell’interesse per la “poesia visiva”, di cui sono studiosa e esperta insieme al prof Giorgio Zanchetti che prima di me ha indagato accuratamente l’argomento e ha prestato consulenza a De Bellis quando dedicò attenzione a queste ricerche nel contesto di Ennesima.
Sono 15 anni che tra il Museo Maga (che possiede una buona collezione sull’argomento tra opere e libri d’artista insieme al Mart e al Museo del Novecento di Firenze, otre che giustamente la galleria Frittelli) e il museo di Ivrea mi occupo di poesia sperimentale. Le inoltro il link a un mio articolo uscito su undo.net pochi anni fa, dato che sarei disponibile molto volentieri a scrivere sull'argomento, se interessasse. 
La voce su Wikipedia è molto completa dei nomi, è vero, non sono riuscita a capire chi l’abbia redatta.
Un saluto! Lorena Giuranna 

Francesco Correggia
Caro Giancarlo il tuo testo sulla Poesia visiva, "dove sta oggi?" Mi è parso interessante. Con il tuo articolo metti al centro dell’attenzione una questione che non si è ancora esaurita. Io in quegli anni ero un giovane artista e frequentavo il "Mercato del Sale" di Ugo Carrega assistendo a gran parte dei discorsi  che si tenevano sulla Poesia visiva e sui vari modi di declinare il rapporto della scrittura e della parola con la pittura. Mi sembra di avere colto un punto centrale di quei discorsi e cioè la distanza, più volte ribadita con determinazione, rispetto alle esperienze dell'arte concettuale e con gli artisti che adoperavano la parola in quel contesto. La maggior parte degli artisti della poesia visiva privilegiava una dimensione letteraria e poetica,  rituale e metaforica e  non solo testuale. Anche la distanza con il Fluxus veniva più spesso ribadita. Essi si sentivano più dei post-surrealisti, con sentimenti anarchici e individualisti. Così come è anche vero che Emilio Isgrò (artista che stimo molto) non ha mai fatto parte di quella situazione, lui stesso  ne ha preso le distanze. Per quanto riguarda oggi, debbo ricordarti che non è  solo la Galleria Frittelli che se ne occupa. Ricordo le mostre al Museo di Trento e Rovereto dell'Archivio di Nuova Scrittura della collezione Paolo Della Grazia e della Galleria Spazio Sant'Andrea di Gianfranco Bellora, La donazione al Museo del Novecento della collezione Spagna/Bellora e ancora la Galleria Francesco Clivio che proprio di recente ha inaugurato tre importanti mostre sulla Poesia visiva dedicate a Ugo Carrega, Sarenco e Lamberto Pignotti. Certo, molte cose sarebbero da approfondire, magari in un'altra sede. Comunque ti ringrazio e un caro saluto.
Ti allego un mio testo dedicato proprio alla Poesia visiva. Francesco Correggia  

Angelo Riviello
Caro Giancarlo, spero che tu voglia accogliere questa mia testimonianza con una lettera indirizzata al caro Luciano, scritta ad un anno di distanza dalla sua scomparsa, lontano da quella Milano che comunque ho amato della mia giovinezza in quegli anni Settanta inesauribili, con una ripresa negli anni Ottanta e infine verso la fine degli anni Novanta, quando grazie a te, dopo anni, rividi Luciano nella Galleria di Bianca Pilat, al seguito di quella prima edizione del Premio Flash Art Museum, dove partecipai come artista selezionato… Un caro abbraccio.
Angelo Riviello

Patrizio Peterlini / Fondazione Bonotto
Buongiorno Politi,
in merito al suo breve intervento sulla Poesia Visiva le ricordo l’attività della Fondazione Bonotto che da anni sta facendo un grande lavoro sulla poesia sperimentale: poesia concreta, poesia visiva e poesia sonora.
Oltre a pubblicare sul proprio sito tutto il materiale (opere, edizioni, libri, riviste, audio, video etc.) inerente tali sperimentazioni (http://www.fondazionebonotto.org/it/collection/poetry/artist), svolge una notevole attività espositiva ed editoriale. Le ricordo, ad esempio, il primo catalogo ragionato sull’attività di Arrigo Lora Totino, da me curato in collaborazione con Giorgio Maffei ed editato da Danilo Montanari (http://www.fondazionebonotto.org/it/collection/poetry/loratotinoarrigo/catalogue/7989.html)
Da due anni è promotrice del Prix Litteraire Bernard Heidsieck – Centre Pompidou, primo premio internazionale dedicato alla letteratura “fuori dal libro” ispirata dalle sperimentazioni di Heidsieck, Chopin etc. (http://www.fondazionebonotto.org/it/news/1-events/150-prix_litt_raire_bernard_heidsieck_-_centre_pompidou.htmlNel 2016 ha istituito, in collaborazione con l’Università Ca Foscari, il Centro studi SCORE, il primo Centro Studi in Italia che svolge una sistematica attività di ricerca, valorizzazione e diffusione delle ricerche verbo-visive (Lettrismo, Poesia Concreta, Poesia Visiva, Poesia Sonora) che si sono sviluppate in Europa e nel Mondo a partire dall’immediato secondo dopo guerra.(http://www.fondazionebonotto.org/it/news/1-events/133-apre_il_centro_studi_score.html).
Cordialmente

Caro Peterlini, so da amici comuni dell’ottimo lavoro che la Fondazione Bonotto va svolgendo. Complimenti.

Nicola Trezzi
Che bell’articolo! Penso che Inga Pin sia anche stato il primo a mostrare Vanessa Beecroft.
Se ci fosse l’occasione sarebbe da correggere “Giovanni Veneziano” con “Giuseppe Veneziano” (penso); una svista che può capitare a tutti.
Cari saluti alla redazione. Nicola

Grazie Nicola da Gerusalemme (o Tel Aviv?). L’amico Veneziano mi ha già perdonato per il lapsus. A quanto sembra non sono stato il solo a commetterlo. Anche in una pubblicazione di Phaidon, Giuseppe è diventato Giovanni.

Stefania Miscetti
Caro Giancarlo
Che bello il tuo ricordare Vincitorio, un vero gentiluomo dell’arte... Non vieni mai a Roma?
Ho appena chiuso una bella mostra antologica su Maria Lai, la mia “maestra” incontrata appena uscita dal liceo nel 1970 e cara amica  di Vincitorio, appunto…  
Ti mando un abbraccio, Stefania

Aldo Carretti
Contrariamente a quanto avete scritto recentemente sulla Poesia visiva, cioè che ci sono rarissime gallerie a trattarla anzi forse solo una, a Milano, vi suggerisco che esiste in centro a Milano una giovane galleria che tratta da sempre questi artisti modo completo e raffinato. 
 La Galleria Clivio, in Foro Buonaparte 48 a Milano, ha anche una sede a Parma in via emilio Lepido 3/13. Vi inviterei gentilmente a fare una visita, onde aggiornarvi maggiormente su quanto sta accadendo alla Poesia Visiva, troppo a lungo annichilita dal mercato. Ringraziandovi per l’attenzione vi porgo i miei più cordiali saluti.  Aldo Carretti, appassionato d’arte moderna e contemporanea

Caro amico, una rondine (e nemmeno due) fa primavera. La poesia visiva ora per me è solo un simpatico ricordo di gioventù. La sua riesumazione mi appare improbabile. Si è fatta troppa confusione. Un tempo chi non era poeta visivo, poteva scagliare la prima pietra. 

Marie Claire Delamichelle
Buongiorno Gent.mo Giancarlo,
ho letto con piacere e interesse il Suo Amarcord, e comprendo la malinconia, che condivido, dovuta al progressivo scomparire dell'arte e della correlata umanità dal vivere contemporaneo. Non sapevo nulla di Francesco Vincitorio e Luciano Inga Pin, anche perché allora ero troppo giovane per frequentare l'arte italiana; mi sembrano lontani eroi e martiri della cultura. Spesso però mi chiedo, quanto abbiano contribuito gli stessi operatori dell'arte (artisti, critici, galleristi, editori, curatori) attraverso ingiustificati narcisismi, speculazioni e disonestà intellettuale verso l’arte stessa, a tracciare la percezione scadente delle “armoniche visive” che porta a dimenticare l'essenza significativa di personaggi come questi. Mi suonano indescrivibilmente tristi, queste sue righe: “Fui sorpreso quando al suo funerale, a spese del Comune, in una sconosciuta chiesa di periferia, mi ritrovai solo con Giuseppe Veneziano. In tutta Milano eravamo stati gli unici a portare l’ultimo saluto a Luciano. Quello fu per me un altro grande insegnamento di vita” ... un eloquente epitaffio all'arte! 

Cara Marie Claire, non è solo l’arte che dimentica se stessa. Chi si ricorda di Germana Marucelli, la più importante stilista nella Milano negli anni Sessanta? Con le sue sfilate di vestiti ideati da Paolo Scheggi, Getulio Alviani e Piero Zuffi, si era imposta al mondo. E nel suo salotto si ritrovavano ogni giovedì Lucio Fontana e tutti gli artisti e intellettuali dell’avanguardia milanese. Eppure, nella moda di oggi, nessuno ricorda più questa sartina di Firenze che a 11 anni, appena terminate le scuole elementari, entra a lavorare nella sartoria degli zii. Ma poi, trasferendosi a Milano diventa il punto di riferimento della moda. Ma altri tempi.



Marco Bazzini
Caro Giancarlo,
ho letto con piacere la tua nota sulla Poesia visiva e non meno su Francesco Vincitorio che, concordo con te è stato troppo presto dimenticato. Proprio come la Poesia visiva che sul suo NAC ha trovato uno degli strumenti di riflessione e di dibattito più attenti. Da osservatore attento quale sei non ti sono certo sfuggite le mie mostre su Isgrò e le molte, anche all’estero, proprio intorno alle esperienze verbo visuali. Già nel 2006 ebbi l’occasione di fare la prima mostra museale di Poesia visiva al Pecci (non ero ancora direttore) partendo dalla Collezione Palli che come sai è uno dei più importanti collezionisti (a suo tempo anche mercante). Ma erano tempi in cui nessuno si filava quella che è l’ultima importante rivoluzione linguistica ancora tutta da scoprire. Sono, però, fiducioso che questo avvenga a breve. Già si sentono i primi rumori di passi che si fanno avanti. E questo tuo intervento lo leggo proprio come uno di questi passi. Su fronte Poesia visiva, però, rimane molta confusione terminologica così come non condivido le analisi che la fanno crescere nel solo spazio letterario. Da questo punto di vista la pagina Wikipedia non fa eccezione. Sono analisi basate su vecchi modelli che proprio i poeti verbo visuali hanno alimentato con la non poca confusione che hanno saputo costruire intorno alla loro esperienza. Sono voluti essere artisti e critici allo stesso tempo, e questo credo li abbia penalizzati fortemente.
Il discorso è troppo ampio per una mail che vuole ringraziarti per aver riportato all’attenzione i poeti visivi e quel loro confronto con il concettuale che meriterebbe davvero di essere approfondito fuori dai più diffusi luoghi comuni. Chiaramente sono disponibile ad approfondire il tutto quando vuoi. 
In attesa di rivederti presto, con la stima di sempre. Un caro saluto, Marco

Fabio Cavallucci
Bello, dovresti scrivere di più. Magari anche in inglese ciao Fabio

Caro Fabio, i miei scritti tradotti in inglese perderebbero il loro senso un po’ rustico che caratterizza da sempre la mia scrittura. 

Toti Carpentieri
Carissimo Giancarlo ho letto con grande piacere i tuoi tre amarcord, ritrovando tre vecchi amici ormai scomparsi dalla mente degli uomini di scarsa memoria (quanti ce ne sono in questi ultimi anni!) Rammento Francesco e il suo impegno, a Bari in una EXPO ARTE presentò il n.9 di ARTE&CRONACA con la copertina realizzata da Toti Scialoja.
Quanto a Luciano come non ricordare il suo impegno totale per la body art e le tante mostre, anche quelle che coinvolgevano Armando Marrocco. E infine Ugo con il Mercato del Sale e la stretta collaborazione con il LPN Laboratorio di Poesia di Novoli. Grazie. Un caro saluto. Toti

Ugo Carrega, grande studioso della Poesia Visiva a cui ha dedicato la vita. Credo morto in miseria e dimenticato, nella sua Genova da cui proveniva. La Genova vera culla della grande Poesia Visiva italiana,.

Mariarosa Ferrari
Io, Mariarosa Ferrari piccola gallerista di Cremona, ho conosciuto personalmente sia Francesco Vincitorio che Luciano Inga-Pin, del quale frequentavo la prestigiosa galleria di Via Pontaccio. Il mio tramite fu la grande Elda Fezzi, della quale nell'anno 2018 si ricordano i trenta anni dalla scomparsa. Grazie per questo importante tuffo nel passato. Cordiali saluti, Mariarosa Ferrari Romanini.

Elda Fezzi, gentile amica e grande conoscitrice e appassionata. La sua fu una perdita grave per l’arte contemporanea.

Mauro Cossu
… la fondazione Berardelli (Brescia) dispone di una notevole collezione di Poesia Visiva. 
Amarcord, incontri, ricordi…. Penso a Getulio, alle sue indagini visive, le giornate trascorse a Castiadas, le sue osservazioni…  Un caro saluto e buon proseguimento, Mauro

Giorni splendidi e irripetibili a Castiadas, con Getulio Alviani, François, il piccolo Jae Ar e il tuo vino di cui ho ricordi dolcissimi.

Letizia Ragaglia
Caro Giancarlo, sono molto felice che tu abbia ricordato la poesia visiva: è un tema della storia dell’arte che sta molto a cuore a Museion e fa parte della sua identità fin dalle fasi iniziali della sua storia. Dal 1998 condividiamo con il Mart di Rovereto la vasta collezione –opere, riviste, libri d’artista e volumi – dell’Archivio di Nuova Scrittura (ANS) come comodato di Paolo Della Grazia, collezionista indefesso. (Per la mostra che citi, “Ennesima”, a cura di Vincenzo De Bellis, abbiamo avuto il piacere di prestare diverse opere). Oltre che per alcune pubblicazioni sull’ANS (Catalogo “La parola nell’arte” e “ANS, Storia di una collezione”), insieme al Mart abbiamo lavorato alla piattaforma “VerboVisualeVirtuale” consultabile on line (verbovisualevirtuale.org , in collaborazione anche con la Fondazione Bruno Kessler). L’ANS ha una tale rilevanza all’interno delle nostre raccolte, che nel pianificare la sede attuale di Museion gli architetti KSV di Berlino hanno concepito una struttura per ospitare ed esporre i circa 2.500 lavori su carta appartenenti a tale collezione. La struttura ospita attualmente la personale di Irma Blank, a cura di Andreas Hapkemeyer (fino al 23/09/2018). Ma la ricerca su questo aspetto va avanti da diversi anni – ricordo, a titolo esemplificativo, le mostre dedicate a Nanni Balestrini, “Oltre la Poesia” (2014), Maurizio Nannucci “Top Hundred” (2015), la collettiva “ABC – lettere in libertà” (2009) e “ARTWORD. Archivio di Nuova Scrittura” (2002).
Con piacere ti anticipo che, da quest’autunno in poi, dedicheremo diversi momenti espositivi alle opere di poesia visiva: il 5 settembre prossimo si inaugura presso il Museo della Macchina da Scrivere di Parcines la mostra “Revue. Opere verbo visuali dalla Collezione Museion” – con oltre quaranta lavori in mostra, da Nanni Balestrini a Ugo Carrega a Décio Pignatari, passando per Carlo Belloli, Maurizio Nannucci e Stelio Maria Martini. Anche la mostra “Tutto. Prospettive sull’arte italiana” in collaborazione con la Sammlung Goetz di Monaco di Baviera e che inaugura qui a Museion il 12 ottobre prossimo, avrà una sezione dedicata alle opere di poesia visiva - da Giuseppe Chiari a Emilio Isgrò, fino ad Arrigo Lora Totino. Stesso tenore per la mostra del guest curator 2019: prendendo le mosse dall’Archivio di Nuova Scrittura, l’esposizione estenderà le ricerche sull’arte al femminile. Infine, il 2019 si concluderà con una grande mostra della collezione dedicata proprio all’Archivio di Nuova Scrittura. 
Spero così di aver aggiunto qualche elemento al tema, ti saluto allegando l’immagine di un’opera di Balestrini dalla serie “Non capiterà mai più”, che abbiamo recentemente prestato alla Fondazione Prada nell’ambito della mostra di Francesco Vezzoli sulla RAI. 
Cari saluti Letizia

Cara Letizia, so (e ho visto) che hai fatto un ottimo lavoro sulla Poesia Visiva. Ma il mondo dell’arte non ha recepito molto. Soprattutto il mercato. Anche perché il terreno della poesia visiva è troppo affollato. Occorrerebbe un’anima buona (e colta e informata) che sfoltisca un po’ il campo.

Irene Caravita
Gentile Giancarlo, 
mi permetto di risponderle con la speranza che questa mia possa in qualche modo interessarla.
La sua piccola raccolta di casi dimenticati della storia, e del mondo dell'arte milanese più recente mi ha toccata da vicino. Sono ancora giovane, e le persone, le situazioni che cita le ho solo studiate: durante le ricerche per la mia laurea magistrale mi imbattei nel nome della galleria Diagramma, e fui molto sorpresa della difficoltà di reperire informazioni circa la sua attività.
Ho così scritto un progetto di dottorato, e ho fortunatamente vinto il concorso per una borsa della Sapienza di Roma nell'ottobre 2016, e sono stata affidata alla supervisione del professor Claudio Zambianchi. Sto portando avanti una ricerca che include la ricostruzione dell'attività della galleria Diagramma (limitata al primo decennio diciamo), a partire proprio dalla cronologia delle mostre, fino ad approfondimenti su alcuni artisti e ovviamente su Luciano Inge-Pin stesso. Se lei fosse disponibile mi piacerebbe discuterne a voce con lei. In una situazione di tale carenza di materiale bibliografico, raccogliere la memoria di chi ha fatto esperienza diretta di quella gallerie, conosceva Luciano e lo frequentava, è per me molto importante. Un cordiale saluto, 
Irene Caravita

Mi ponga le domande che vuole. Meglio per iscritto. La memoria talvolta si risveglia sfiorando la tastiera. Tenendo presente che io non ho preparato la tesi su Luciano Inga-Pin. So alcune cose ma non conosco tutta la sua vita. Alcune cose le conosce meglio Massimo Minini. Anche lui può essere un ottimo interlocutore.

Fausto Ferri
Caro Giancarlo
permettimi di rivolgermi così a te, la tua rivista la leggo dai primi anni '70, quando ero un ragazzo e ti considero "di famiglia”. Ricordo quando, in un momento di difficoltà, proponevi l'abbonamento a vita per 100.000 lire, allora non li avevo e non mi fu possibile aderire e me ne è sempre rimasto il rammarico. Qualcuno ne sta godendo tuttora?
Ricordo anche quando uscì Art Diary, avere in tasca tanti indirizzi e telefoni mi dava una sensazione inebriante, ero potenzialmente in contatto con tutto quel mondo dell'arte che mi interessava ed affascinava tanto. E tante volte ebbi incontri grazie proprio a quella “miniera” tascabile!
Grazie per aver pensato a questa rubrica, Amarcord.
Ti ringrazio di aver ricordato Francesco Vincitorio, un vero signore della critica d'arte che conobbi e incontrai in molte occasioni, pensavo avesse il dono dell'ubiquità.
Mi fai ricordare che oltre a NAC e alla tua leggevo avidamente anche DATA, credo rimanga imbattuta quanto a qualità delle scelte e dei testi, e quell'antico geniale giovanotto che è ancora Tommaso Trini lo considero il più grande dei critici morenti (non è mia ma ci sta essendo comunque certo che Trini camperà cent'anni).
Se penso a chi non c'è più e che ricordo con rispetto, affetto e nostalgia sarebbero tanti, quanti sono i miei capelli bianchi, quelli che vorrei nominare e suggerirti per un ricordo, ma mi limito a tre scultori, tanto diversi e tanto simili allo stesso tempo: Melani, Tonello e Trotta.
Aggiungo in extremis un grande artista, Claudio Costa, ebbi un incontro intenso con le sue opere e con la sua entusiasmante vitalità. Grazie Giancarlo dell’attenzione dall'arte non si va in pensione, ti auguro lunghi anni di lavoro. Fausto Ferri

I miei ricordi, anzi le mie rimembranze, si riferiranno sempre a persone che ho conosciuto bene e con cui spesso ho collaborato. Visitai Melani nel suoi studio a Pistoia, ma mi sembrò un artista un po’ sopra le righe per la fugace riscoperta del momento. Tonello l’ho conosciuto fugacemente perché è scomparso troppo presto. Mi piaceva la sua esuberanza e il suo entusiasmo trainante. Trotta lo vedo ogni tanto a Pietrasanta. Claudio Costa l’ho conosciuto meglio, anzi l’ho frequentato anche a Rapallo e, ahimé, assistito al suo attacco di panico a Kassel, durante Documenta, per cui fu ricoverato in un ospedale psichiatrico tedesco. L’ho ritrovato dopo nel suo splendido studio/scuola all’Ospedale psichiatrico di Genova Quarto dove felicemente dipingeva e insegnava pittura. Poi, poco dopo nulla.

Andrea del Guercio
Caro Politi,
ho trovato toccante il ricordo di Francesco Vincitorio, oggi del tutto dimenticato non solo nella significativa storia di quegli anni ma anche nell'eleganza dei modi e nell'attenzione fatta di curiosità e ironia.
Un clima professionale raro anche in quegli anni ed oggi scomparso.
Mi permetto di segnalarti un altro nome 'dimenticato' per molti versi affine: Berenice con la sua treccia nel riquadro informativo di Paese Sera.
Ma ci sarebbe bisogno di parlare di tanti...per non dimenticare e insegnare. Un cordiale saluto andrea b del guercio

Berenice con la sua treccia disegnata da Renato Guttuso, per Paese Sera. La leggevo avidamente ma non ricordo di averla frequentata.
Per suggerire spunti di riflessione e alimentare il dibattito intorno ai contenuti della rubrica scrivete a:giancarlo@flashartonline.com

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